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martedì 31 agosto 2010

Periodi artistici di Italo Squitieri

Dal 1958 al 1973 Squitieri trova con relativa facilità la via giusta in una espressione per un'arte d'incontro diretto con la sua terra d'origine.
Le facce tristi delle donne lucane, tra mito mediterraneo, archeologismo di origine greca, neoclassicismo di tipo realistico, sono una esplicita indicazione di una arcana libertà di ritrovarsi nell'esempio degli antichi e nel culto degli aspetti più segreti e popolari.

Un'opera di quel periodo:
LUCANIA


Segue IL POTERE: ventisei dipinti composti in sette anni, dal 1972 al 1979, in cui ogni simbolo grafico assume ragione e vita, e ogni proposta tematica è personale e coerente. Il disegno è nitido, come chiara è la denuncia. L'autore, mirabilmente dotato di temperamento istintivo, di alto magistero e di ricchissima cultura formale e sostanziale, domina gli inviti e le suggestioni che gli provengono dalla problematicità dei temi trattati e ne fa venir fuori un discorso illuministico di parole pregnanti, che ha la bellezza dello specchio, la composta e inquietante protesta di un cuore vagabondo, che dà materia ai sogni e alla poesia. In nessun altro pittore, forse, è così forte l'allarme per il declino morale dell'Italia, distrutta da troppa storia.

Una delle 26 tele de' IL POTERE:
IL SESSO


Il periodo dal 1979 al 1985/87, sono segnati dal ciclo di PETRA

Dal 1985, con i dipinti del ciclo IL PRECARIO, il Maestro si cimenta a fissare la visionaria corsa del ciclo della vita, contrassegnata dalla breve durata e dal caduco come la gloria, il denaro e la speranza. Un modo per prendere coscienza della condizione umana e avventurarsi nella tematica poco esplorata del mondo di oggi. Nascono così MEMORIA DI ULISSE, ULTIMO FRAMMENTO, CONDIZIONE UMANA, LA COPPIA e LA MODA, opere che costituiscono la prima grande espressione della nostra civiltà sconfitta e umiliata e ci pongono due interrogativi: che cosa accadrà in futuro? Ci sarà ancora qualcuno capace di porsi, dipingendo, ai confini tra due età dove i peccati più abbietti e i sentimenti più nobili sono bizzarramente divisi dal tempo?

Un'opera del ciclo de' IL PRECARIO:
LA MODA

tratto da La scena illustrata, settembre 1989 e scritto da Italo Carlo Sesti.

di FRANCO CORRADO

Mi piace immaginare Italo Squitieri fra le rovine di Petra. Nella città che “vive della sua morte”, lo vedo sostare emozionato dinanzi alle tante facciate delle sepolture scavate nella roccia calcarea, su pareti a picco. E, mentre penso ad un dipinto che dà il senso preciso di questo rapimento (FASCINO DI PETRA, che il pittore potentino ha realizzato recuperando le impressioni di un suo viaggio in Giordania e di una visita alla mitica capitale dei Nabatei), altre immagini si sovrappongono alle prime, per associazione logica. Rivedo, allora (e ne comprendo meglio le ragioni), una delle opere di ambiente lucano che più delle altre dà il senso di una pittura dalla grande forza evocativa, di un'arte che esalta i miti dell'uomo.
Ecco, dunque, LUCANIA, una tela del 1965, spaccato di un microcosmo arcaico ma pur sempre attuale, amato da Squitieri con trasporto senza retorica: una donna nella nicchia dell'uscio di casa, che sferruzza all'ombra di una icona votiva; una fontana; due contadini sui muli che procedono stanchi sul passo della sera; il paese a far da fondale, incastonato nella roccia.
Petra o i Sassi di Matera, o Pietrapertosa o Castelmezzano?
Giordania o Lucania?
Un'antica capitale araba del terzo secolo avanti Cristo o un paese di pietra, popolato di figure-simbolo, assunte ad emblema di valori umani che resistono nel tempo e che tanta parte sono delle radici che ognuno di noi si porta dietro; di quelle radici che, nel caso di Squitieri, sono lucane, ma appartengono a tutti perché fanno parte della storia stessa del mondo?
Il simile che si afferma nella diversità, attraverso l'opera di un pittore che, richiamandosi ai miti della sua terra di origine, ha saputo dare, fin dagli anni giovanili, un respiro universale al suo lavoro, portandosi dietro il meglio della provincia natìa: quel sedimento della Lucania che lo aiuta a dar corpo a fantasie che nascono dal vissuto individuale, da ricordi che si sono andati accumulando una stagione dopo l'altra della vita. Pittura come evocazione. Operando per sintesi lineari e puntando a ottenere forti volumi (è quel che di architettonico e di monumentale felicemente gli rimane nella tavolozza, della sua adesione convinta alla poetica del “Novecento”, dopo le esperienze iniziali nelle quali potevi cogliere gli echi delle lezioni dei macchiaioli e degli impressionisti prima e, successivamente, dei futuristi), Squitieri ci restituisce immagini di una Lucania sognata; suggestivi frammenti di tutto quel che ci parla del cuore antico, al limite primitivo, di questa terra che conserva grandi tesori ambientali, ma soprattutto di umanità.
Seguiamolo e comprendiamolo, allora, quando, ricorrendo ad una vena poetica, suggestiva quanto la sua pittura, ci dice:
"Io dipingo donne verticali impietrite dalla dignità, miti, leggende d'antica terra, fanciulle come spighe, boschi sonori d'acqua e di vento, cascate di case divorate dal silenzio, cavalli impazziti, schegge di cielo... e sempre mi ritorna la voluttà della mano, la volta che sentì e vide l'intonaco rugginoso d'un santuario caldo di sole”.

mercoledì 4 agosto 2010

quel viaggio in Medio Oriente

A proposito di quel lungo viaggio di Squitieri, Ugo Moretti ha scritto: 
"Squitieri depone laggiù il suo contributo di pagano e prende in cambio il misticismo orientale: ha già studiato i suggestivi enigmi degli Etruschi...ha già saccheggiato l'eredità dei bizantini, da cui ricava la secca linea delle forme, lo jeratismo della composizione corale e l'austera campitura dei fondali. 
I Trecentisti toscani gli hanno insegnato a regolare gli spazi, contenendoli al di là delle leggi della prospettiva, a dilatare un particolare e circondarlo di racconto. Dagli impressionisti ha preso la gioia di vivere, da Sironi il dolore di pensare. Ora chiede all'incestuosa Iside di inondare di luce la sua pittura".

Il ciclo di PETRA

di Italo Squitieri


Nell'aprile del 1931 andai in Medio Oriente e mi fermai laggiù fino all'ottobre del 1936. Feci lunghe soste nel Libano: Beirut, Saida e Baalbek. Nell'Iraq: Bagdad e Ninive. In Siria: Damasco, Latakia e Aleppo. Infine dovunque ci fossero vestigia di civiltà sepolte come Palmira, Antiochia e la grandiosa, indimenticabile Jerash, in Giordania: tutto un trionfo di architettura romana.
E fu proprio a Jerash che incontrai Marilor Appelt, intelligente archeologa tedesca, che mi parlò diffusamente di Petra, della sua storia, del suo fascino misterioso.
Appena ne ebbi l'occasione vi andai! A quel tempo Petra dei Nabatei non era ancora diventata una meta turistica, per cui raggiungerla costituiva un'impresa molto faticosa.
Aggregandomi ad una carovana di mercanti cammellieri diretti ad Aqaba, ci arrivai percorrendo chilometri e chilometri di deserto, sotto un sole spietato, con soste notturne in qualche oasi.
Dai miei compagni di viaggio, che mi parlavano soltanto in arabo, seppi ben poco di Petra ma , per mia fortuna, le lunghe conversazioni con la mia amica tedesca mi avevano preparato abbastanza all'impatto con quello straordinario angolo della Terra.
Quando il massiccio montagnoso di Petra mi apparve, a una decina di chilometri di distanza, controluce, mi sembrò un grande panettone appoggiato sulla linea orizzontale del deserto.
Alcuni scienziati hanno avanzato l'ipotesi di un immenso meteorite staccatosi da una stella e conficcatosi nel deserto, miliardi di anni fa.
Giunto alla meta, abbandonai la carovana che proseguiva per altra via.
Tutte le emozioni vissute nei ventidue giorni che trascorsi rovistando da cima a fondo Petra, che alla sua grandiosità aggiunge la sua vastità, sono fissate nella mia memoria.
Durante quel viaggio eseguii un gran numero di disegni e dipinti ispirati dal mistero di Petra, che non ho mai esposto in vendita nelle numerose mostre tenute in seguito in Italia e all'estero. Li ho sempre custoditi con amore. Ma quando, in un secondo viaggio, rividi Petra così diversa da quella che era, meta di milioni di turisti che siedono sbracati nei caffè e nei negozi che sono sorti, sentii la necessità di evocare la mia Petra, servendomi di quegli antichi disegni e nell'arco degli anni 1985-1990, realizzai il CICLO DI PETRA.



alcune delle 17 tele:
 
FRAMMENTI DI PETRA

MISTERO DI PETRA


MITO DI PETRA


RACCONTO DI PETRA


SILENZIO E MEMORIE DI PETRA


SPLENDORE DI PETRA




martedì 27 luglio 2010

Ugo Moretti

"La lunga opera e la ricca esistenza di Italo Squitieri sono legate alla sua terra lucana così strettamente da costituire un vero patrimonio spirituale di una regione, per molti ancora incognita, il vero cuore del Sud, ma gonfia di bellezza, nutrita di antichi misteri che si manifestano sempre ritualmente, intatti nella sostanza orfica che affonda le sue radici fino ai limbi del mito. Non è possibile, secondo me, scindere la pittura di Squitieri dalla sua origine di lucano e seguendo i suoi itinerari di ricerca, si potrebbe ricostruire l'avventuroso cammino che i primi lucani sicuramente compirono partendo dalle rive lucenti e dai boschi profondi che dettero il nome alla loro terra.

...dopo la guerra, l'orgia degli 'ismi' divenne un carnevale impraticabile e Squitieri fuggì letteralmente da Roma, rifugiandosi a Cortina d'Ampezzo, nella conca naturale coronata di montagne di incredibile maestà, nel silenzio eterno delle nevi. Qui la pittura diviene una cosa sacrale, forte, severa. I quadri di questo periodo hanno le caratteristiche di un clima morale teso alla ricerca dell'essenziale: i volumi compatti, i colori netti, nessuna concessione al piacevole, ogni cura alla meditazione, la luce protagonista dei tagli e base della composizione. Raramente si sono visti dipinti di tale rigore etico e formale. Un periodo che è stato per Squitieri largamente proficuo ed ha allargato gli orizzonti delle sue tele, le proporzioni delle figure, gli ha consentito una dimensione visiva di aria, piena di estrema apertura.

...i suoi quadri sono dovunque nel mondo, nelle collezioni più selezionate, nelle gallerie pubbliche e nelle raccolte private: dovunque, nel Sud America e in Svizzera, in Estremo Oriente e a Hollywood, a Parigi e a Monaco, a Londra, a Roma, c'è un brano vivo della Lucania, un pezzo del suo cuore fissato su una tela, una donna bellissima, uno squarcio di mare di smeraldo, un paese che sboccia dalle rocce, un corteo di figure, un mobile, un fiore, uno sguardo come una spada di luce, una mano ieratica, un panneggio vestale; c'è insomma lo spirito leggendario ancestrale della Lucania, così amata da uno dei suoi figli migliori." 

scritto da UGO MORETTI

tradizionalista e moderno

"La sua pittura è fra le prove figurative più notevoli per impegno di composizione e perspicua dosatura di cromia. Il filtro del colore è sempre arioso, immune dalle alchimie devianti; e si adatta con estrema naturalezza ad un 'transfert' arcaico e all'ardore sottilmente allucinato dell'ora presente.
Con queste doti Italo Squitieri può considerarsi, come Funi, Sironi, Marussig e gli altri protagonisti del gruppo Novecento, 'tradizionalista e moderno' nell'accezione più positiva del binomio."


Renato Civello

lunedì 26 luglio 2010

influenze sironiane

"Decisivo per Squitieri l'incontro con la pittura di Sironi, un artista che lascerà in lui un segno profondo: infatti Squitieri ha accolto quel senso arcaico monumentale, eroico, dell'arte sironiana per piegarlo alla sua ispirazione ottimista, per esprimere quel mondo lucano, arcaico, pastorale, in una sorta di monumentalità elegiaca-contadina, con toni qua e là più accesi, attuando il cupo pessimismo di Sironi in una sorta di favola simbolico-meridionalista, con una tecnica pittorica di notevole mestiere.
Squitieri ha viaggiato per il mondo, negli anni '30, soprattutto in Medio Oriente, "affascinato (come lui mi dice) dalle pietre cariche di storia, di millenni, di mistero". 
A Parigi conosce Picasso, Max Ernst e Chagall, diventa amico di Hemingway che frequenterà per molti inverni a Cortina d'Ampezzo e a cui farà numerosi ritratti.
Diventa amico della pittrice Colette Rosselli e di suo marito Indro Montanelli che scrive su di lui un simpatico profilo..."

una testimonianza di FRANCO SIMONGINI




"...la conoscenza con Mario Sironi impresse al suo stile un carattere di arcaica robustezza, di costruttività solida, sia nella figura che nei tagli e gli scavi paesaggio. Ma mentre Sironi, già all'inizio della cupa crisi che doveva tormentarlo fino al termine della vita costruiva i suoi spazi nelle tenebre di un dolore senza speranza; Squitieri cercò la luce, aprendo grandi varchi nelle terre massicce, negli sguardi delle figure, nei cieli in tempesta e per lui la luce fu ed è sempre una gioiosa carica di certezza."

una testimonianza di UGO MORETTI

FRA CENT'ANNI di Cesare Marchi

Squitieri il potere non lo giudica, lo rappresenta, ridendoci sopra, d'un riso acre.
Quello che subito colpisce è la monumentalità della concezione, un gusto scenografico della materia, corposa e scabra. Squitieri ha studiato ingegneria e si vede. Suo padre, costruttore, gli ha lasciato nel sangue la propensione per l'architettura.
"POSSIAMO DEFINIRTI UN COSTRUTTORE CHE DIPINGE?"
"Direi, piuttosto: un pittore che costruisce"

"PERCHE' DIPINGI SOLO DONNE LUCANE?"
"Perché io abito a Cortina, ma sono lucano. Carlo Levi ha visto quella terra sotto l'angolazione sociale, io sotto l'angolazione mitica. Vado spesso laggiù a far provvista di 'mito', cerco la donna che fa la fattura, il contadino che recita i proverbi. E' gente assai fiera e chiusa, non per nulla deriva da 'lucus', selva. Un esempio. Al mercato una venditrice di uova napoletana supplica i clienti affinché comperino. La donna lucana, invece, se ne sta impassibile con il cesto sottobraccio. La sua dignità le vieta di parlare"

"QUANDO HAI COMINCIATO A DIPINGERE?"
"A sette anni, a Potenza. Ritrassi, sulla parete del salotto, un'amica di famiglia. La mamma subito mi diede una sberla, poi mi comprò i colori"

"QUAL E' IL MOMENTO PIU' BELLO DELLA GIORNATA?"
"La notte. Dipingo solo di notte. Mi è necessario il silenzio. La Musa non ama essere disturbata dal telefono"


"DI CHI TI SENTI MAGGIORMENTE DEBITORE?"
"Di Masaccio tra i classici e di Sironi tra i contemporanei. Anche Sironi, guarda caso, studiò ingegneria. Debbo aggiungere l'arte egizia, Beckmanne e Marmeke"


"TU PASSI PER UN UOMO TRANQUILLO. MA SE POTESSI SCEGLIERE, CHI VORRESTI ESSERE?"
"Mi piace essere Squitieri. Vorrei continuare ad esserlo ancora per tanti anni. Ne ho settantadue"


"QUAL E' IL TUO PRIMO PENSIERO APPENA SVEGLIO?"
"Mi sveglio e resto a letto almeno un'ora, a fantasticare. Dipingo col cervello"


"IN CHE CONTO TIENI IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI?"
"Non credo a quelli che affermano di dipingere solo per se stessi. Non che io dipinga per piacere agli altri, intendiamoci, ma per essere da loro visto e giudicato. E' il mio modo di comunicare con il prossimo. Se fossi sulla Luna, non dipingerei"


"FRA CENT'ANNI, QUALI DEI NOSTRI CONTEMPORANEI SARANNO RICORDATI?"
"Comincerei con Picasso"


"E DEGLI ITALIANI?"
"Casorati e Sironi"


"TUTTI GLI ALTRI SCOMPARIRANNO?"
"Non c'è il minimo dubbio"


"COMPRESO SQUITIERI?"
"Compreso Squitieri".

una testimonianza di CESARE MARCHI_ anno 1979

l'amico Indro Montanelli

Italo Squitieri rimase molto sorpreso e un po' incredulo quando gli dissi che il giorno in cui mi si desse di reincarnarmi con diritto di scelta non chiederei a Dio di farmi Leonardo o Einstein, ma Squitieri.
Eppure è così, è l'uomo che più invidio al mondo. Si guarda intorno contento e nei suoi occhi azzurri, di bambino, vedo riflesso il meglio di ciò che ci circonda, e solo il meglio.
Si tuffa in mare, e gode. Si arrostisce al sole, e gode. Se sopravviene una nuvola, dice: "Meno male, così non mi brucio".
Dalle sue avventure sulle nevi di Cortina torna sempre con la notizia di meravigliose scoperte: una valle, una chiesetta, una pala d'altare, una cassapanca intarsiata, un rifugio abbandonato, un covo di marmotte, un albero. Una volta che si ruppe una gamba sciando, esclamò giulivo: "Finalmente avrò il tempo di lavorare!".
In realtà lavora sempre, con assiduo impegno, e ciò che esce dai suoi pennelli non gli assomiglia affatto: a prendervi il sopravvento sono sempre i ricordi del suo profondo Sud, con i suoi paesaggi immobili e duri, i suoi violenti contrappunti di luce, le sue casefortino sbarrate sui lutti e la disperazione degli uomini.
Il carico di mestizia che ogni meridionale si porta addosso, Squitieri lo sfoga lì, ce lo svuota tutto fino all'ultima goccia. Poi, libero, spalanca la finestra e guarda il mondo con gli occhi di Adamo prima del peccato originale.
E' tutto sensi.
Da pittore non dipinge soltanto, ma pensa, parla e vive, traducendo ogni cosa in forma e calore.
Mai un'acredine verso gli altri, mai una scontentezza o un segno di frustrazione. Crede nella bontà degli uomini perché ha da venderne di suo. Mangia e beve luce, sulla neve d'inverno, sul mare d'estate. Una bella natura, perché solo di natura si pasce.
Mi manca la competenza per giudicarlo come artista. Ma poeta lo è di certo.


testimonianza di INDRO MONTANELLI (Fucecchio, 22 aprile 1909 - Milano, 22 luglio 2001)

domenica 18 luglio 2010

Biografia e personalità artistica

Svolge i suoi studi a Pavia ed è qui che fa il suo incontro con la pittura. Gli interessi giovanili sono per l'impressionismo (Degas) in un primo tempo e, in seguito, per il futurismo, però la via del "Novecento" è quella destinata a dare alla sua pittura l'impronta decisiva.
Negli anni che seguono, una serie di fortunate mostre in Italia e all'estero suscitano vivissimo interesse nella critica e nel collezionismo:
1929 - Prima Mostra alla Galleria "La Permanente" di Milano_ 1° premio per I GIOVANISSIMI.
1929 - Mostra Sindacale di Napoli.
1930 - Mostra Personale. Palazzo del Fascio. Potenza.
1930 - Mostra Personale nella Galleria La Barcaccia, Roma.


Nel 1931 parte per un lungo viaggio in Asia Minore, dove dipinge figure e paesaggi ispirati a quegli ambienti. Tiene mostre personali a Beirut, Damasco, Tripoli di Siria, Aleppo, Il Cairo, Alessandria d'Egitto, Rodi e Gerusalemme.
Di ritorno in Italia, nel 1936, sistema il suo studio nella nota via Margutta, a Roma, dove il suo rifiuto alle congreghe si fa più radicale, esplicito: proprio questa indipendenza nella pittura, come nella vita, gli aprono le porte della Biennale e Quadriennale, delle gallerie più qualificate, sia italiane che straniere. Espone a Londra, Berlino, Dusseldorf, Monaco, Francoforte, Ginevra e Zurigo.
A Parigi incontra Cocteau, Picasso, Max Ernst, Severini e Braque.
Nel 1940 viene chiamato alle armi come ufficiale d'artiglieria.
Alla fine della guerra ritorna a Roma. L'orgia degli "ismi" diviene un carnevale impraticabile e Squitieri decide di fuggire dalla capitale, cercando un rifugio dove raccogliere le esperienze di tanti anni e dei lontani luoghi esplorati: lo trova a Cortina d'Ampezzo.
Qui la sua pittura diviene una cosa sacrale, forte, severa: dipinge tele che cantano la bellezza dei "tabià". La tavolozza si restringe ai soli bruni dell'assito tormentato dalla furia delle tempeste, al bianco di calce sulle pareti di pietra, ai grigi rugginosi delle lastre dolomitiche, ai neri profondi degli interni, ai grigiobluastri dei cieli foschi, agli isolati punti di rosso e di giallo di qualche fiore che salvano il dramma. Mai un cielo azzurro: scadrebbe tutto in una cartolina!
Dipinge a volte montagne nude e silenti.
Le composizioni di carattere arcaico a cui Squitieri si dedica dal 1956, nutrite dai "miti" della sua Lucania, risentono sensibilmente delle esperienze di quel viaggio in Asia Minore, dove ebbe modo di studiare a fondo l'arte assira e gli Egizi.
Nell'arco di tempo che va dal 1972 al 1979, con molto impegno, dipinge IL POTERE, la sua opera maggiore: un ciclo di 26 tele come altrettanti capitoli di un unico tema.
La Mostra de' IL POTERE si aprì nello Studio 23 a Cortina nel 1979, per poi essere accolto nel 1980 alla Mostra Antologica tenutasi nella prestigiosa Villa dei Dogi Contarini, sul Drenta. Seguì una mostra a Palazzo Barberini nel 1982 e ancora a Roma nella Galleria Cangrande, nel 1984.
Nello stesso periodo, ebbe anche occasione di fare mostre all'estero e realizzare lunghi viaggi  che sono sempre stati, per Squitieri, grande nutrimento per la sua anima, non solo come artista.


Italo Squitieri muore nel 1994, all'alba del 28 dicembre, nel suo studio di Cortina, a Villa La Furlana, tra i suoi colori e i suoi pennelli, davanti alla sua ennesima creazione.

sabato 17 luglio 2010

millenovecentodiciassette e millenovecentodiciotto

Ha solo 10 anni quando il fratello Aurelio parte per il fronte...
...questi i suoi ricordi:

I SEGNI DELLA GUERRA:

Le lunghe file di prigionieri austriaci dai volti distrutti dagli stenti.

Le sere che andavo con mio padre nell'atrio della Prefettura a leggere i comunicati dal fronte.

L'angoscia che si vede sulle facce di tutti per la rotta di Caporetto.

Le donne vestite di nero, con le scarpe di pezza, fuggite dalle loro case distrutte dalla guerra, che vagavano nella piccola città con occhi smarriti e bocche che raccontavano disperazione con una parlata incomprensibile.

Il bellissimo volto di una ragazza friulana finita nelle mani di un vitellone imboscato.

Le tragiche colonne di autocarri che trasportavano soldati armati e sacchi di patate...

La bocca dolente e le lagrime di mia madre per il pensiero di Aurelio ancora al fronte.

I miei abiti fatti con panno grigioverde e le mollettiere che mi giravano attorno alle gambe in sostituzione dei calzettoni introvabili.

Le lunghe, estenuanti code agli spacci per portare a casa un chilo di pasta o farina.

Le rarissime lettere di Aurelio, col timbro di Valdobiadene di Pederobba, oltre quello rosso della censura.

La fronte scura di mio padre per le difficoltà nel lavoro.

La costernazione per i lutti improvvisi dei parenti.

I lunghi giorni di paura e di speranza.

E finalmente:

Il crepitio di mille, diecimila bandiere per la vittoria.

I garofani infilati nelle canne dei fucili dei soldati che sfilavano.

Lo smarrimento degli ufficiali che tornando alle loro case, ancora in uniforme, giravano da un caffè all'altro senza sapere che fare.

L'odore di caserma unito a quello di parrucchiere che sentii nella divisa di Aurelio, il giorno che tornò.

Tutti ricordi vivi, intrisi di patetica nostalgia, del millenovecentodiciassette e millenovecentodiciotto.

- Tratto da IL CAVALLO DI METAPONTO (autobiografia pubblicata postuma nel 1998).

Il cavallo di Metaponto

...tratto dall'omonimo libro autobiografico (pubblicato postumo nel 1998)

Lo vidi per la prima volta al tramonto.
Soltanto da poco, lame di luce avevano spaccato le nuvole nere che fuggivano ad oriente. La vastissima piana era tutta viva di verde smeraldo, i fili d'erba erano ancora grondanti di perline lucenti per la tempesta appena passata.
Lui era lì: con i tendini dei garretti tesi, pronti allo scatto, il collo proteso in avanti, la scarmigliata testa e la coda orizzontali, le nari pulsanti, lo sguardo fisso all'orizzonte, dove si staccava, nettamente viola, il colonnato di Metaponto.
Il suo manto scuro riluceva per la pioggia.
Per un momento girò la testa verso di me, poi tornò subito nella posa precedente. Non feci in tempo a fare cinque passi verso il cavallo che, con un nitrito, un'impennata, come una saetta si allontanò e scomparve.
In paese chiesi di quello splendido cavallo e chi fosse il suo padrone, ma ebbi soltanto risposte vaghe e forse ambigue. Finalmente un contadino mi disse che quel cavallo non aveva nessun padrone e che lui stesso l'aveva più volte visto dalla parte dei templi; viveva allo stato brado e nessuno riusciva ad accostarlo, ma aggiunse che portava fortuna a chi riusciva a vederlo...

...Nei giorni che trascorsi in quella misteriosa contrada, sospinto da oscuro desiderio, due volte mi recai nella piana dei Templi, ma non ebbi fortuna.
Però il terzo giorno lo rividi: era molto lontano e si spostava lentamente frugando con il muso l'erba fresca.
D'un tratto si mise a correre a zig-zag nei prati e mano a mano che si dirigeva verso il punto in cui mi trovavo, come preso da frenesia, agitando la sua arruffata testa di medusa, rompeva la corsa con brusche impennate.
Non mi venne vicino ma per tanto tempo stetti a seguirlo nelle sue bizzarrie, avvertendo dentro di me una strana agitazione.
Ad un tratto mi domandai che cosa fosse quel mio tremito dell'anima, quel precipitoso battito del cuore, quell'ansia che mi possedeva tutto.
Come fulminato, mi accorsi che fortissimamente io volevo essere quel cavallo:
La mia vita come la sua!