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martedì 31 agosto 2010

di FRANCO CORRADO

Mi piace immaginare Italo Squitieri fra le rovine di Petra. Nella città che “vive della sua morte”, lo vedo sostare emozionato dinanzi alle tante facciate delle sepolture scavate nella roccia calcarea, su pareti a picco. E, mentre penso ad un dipinto che dà il senso preciso di questo rapimento (FASCINO DI PETRA, che il pittore potentino ha realizzato recuperando le impressioni di un suo viaggio in Giordania e di una visita alla mitica capitale dei Nabatei), altre immagini si sovrappongono alle prime, per associazione logica. Rivedo, allora (e ne comprendo meglio le ragioni), una delle opere di ambiente lucano che più delle altre dà il senso di una pittura dalla grande forza evocativa, di un'arte che esalta i miti dell'uomo.
Ecco, dunque, LUCANIA, una tela del 1965, spaccato di un microcosmo arcaico ma pur sempre attuale, amato da Squitieri con trasporto senza retorica: una donna nella nicchia dell'uscio di casa, che sferruzza all'ombra di una icona votiva; una fontana; due contadini sui muli che procedono stanchi sul passo della sera; il paese a far da fondale, incastonato nella roccia.
Petra o i Sassi di Matera, o Pietrapertosa o Castelmezzano?
Giordania o Lucania?
Un'antica capitale araba del terzo secolo avanti Cristo o un paese di pietra, popolato di figure-simbolo, assunte ad emblema di valori umani che resistono nel tempo e che tanta parte sono delle radici che ognuno di noi si porta dietro; di quelle radici che, nel caso di Squitieri, sono lucane, ma appartengono a tutti perché fanno parte della storia stessa del mondo?
Il simile che si afferma nella diversità, attraverso l'opera di un pittore che, richiamandosi ai miti della sua terra di origine, ha saputo dare, fin dagli anni giovanili, un respiro universale al suo lavoro, portandosi dietro il meglio della provincia natìa: quel sedimento della Lucania che lo aiuta a dar corpo a fantasie che nascono dal vissuto individuale, da ricordi che si sono andati accumulando una stagione dopo l'altra della vita. Pittura come evocazione. Operando per sintesi lineari e puntando a ottenere forti volumi (è quel che di architettonico e di monumentale felicemente gli rimane nella tavolozza, della sua adesione convinta alla poetica del “Novecento”, dopo le esperienze iniziali nelle quali potevi cogliere gli echi delle lezioni dei macchiaioli e degli impressionisti prima e, successivamente, dei futuristi), Squitieri ci restituisce immagini di una Lucania sognata; suggestivi frammenti di tutto quel che ci parla del cuore antico, al limite primitivo, di questa terra che conserva grandi tesori ambientali, ma soprattutto di umanità.
Seguiamolo e comprendiamolo, allora, quando, ricorrendo ad una vena poetica, suggestiva quanto la sua pittura, ci dice:
"Io dipingo donne verticali impietrite dalla dignità, miti, leggende d'antica terra, fanciulle come spighe, boschi sonori d'acqua e di vento, cascate di case divorate dal silenzio, cavalli impazziti, schegge di cielo... e sempre mi ritorna la voluttà della mano, la volta che sentì e vide l'intonaco rugginoso d'un santuario caldo di sole”.

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